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lunedì, Novembre 25, 2024

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Perché non ricordiamo i primi anni di vita?

È molto comune avere ricordi che solitamente vanno dai 4 – 5 anni in su e nessuno di noi è in grado a dire “sì, ricordo quel pomeriggio passato a dormire quando avevo solamente un anno”. Freud la chiamava amnesia infantile, necessaria per reprimere vari traumi, mentre gli psicologi ritengono che il cervello di un bambino non è abbastanza sviluppato per immagazzinare i ricordi. Secondo gli scienziati invece non si tratta né di reprimere i traumi infantili, come diceva Freud né tantomeno sullo sviluppo insufficiente delle parti del cervello responsabili della memoria, come dicono gli psicologi.

Neurogenesi, la spiegazione dell’amnesia infantile

bambino con la mammaSecondo uno studio pubblicato sulla rivista Science, effettuato sui roditori, sembrerebbe che le nuove cellule che si formano costantemente nel cervello dei mammiferi e ad un ritmo accelerato nel caso dei pulcini, un processo chiamato neurogenesi, interferiscano con il funzionamento di i circuiti neurali responsabili della memorizzazione dei ricordi. E questo perché la neurogenesi è particolarmente attiva nell’ippocampo, l’area del cervello responsabile del processo di apprendimento e immagazzinamento dei ricordi.

In altre parole, in generale, il risultato della neurogenesi è una migliore memoria e una migliore capacità di apprendimento. Ma nel caso dei bambini, a causa del ritmo accelerato della neurogenesi, c’è anche il rovescio della medaglia. Secondo lo studio citato, la comparsa di nuovi neuroni nei primi anni di vita interrompe la capacità di ricordare, perché la formazione di nuove cellule colpisce i circuiti associati alla memoria a lungo termine.

In che modo i ricercatori sono giunti a questa conclusione? Hanno stimolato la creazione di nuovi ricordi nei roditori associando un luogo a una lieve scossa elettrica. Poi hanno “giocato” con il tasso di neurogenesi dei piccoli animali. Nello specifico, stimolando la neurogenesi dei topi (con l’ausilio dell’attività fisica o con farmaci), si è notato che perdono parte dei ricordi e delle connessioni che avevano originariamente creato. Invece, rallentando la neurogenesi, i topi hanno acquisito una migliore capacità di memoria.

Ovviamente lo studio non è rilevante al 100% in quanto è stato condotto sui topi, non sugli esseri umani. E le possibilità che tale ricerca abbia soggetti umani sono inesistenti. Tuttavia, considerando la somiglianza dei cervelli dei mammiferi, lo studio rappresenta un buon punto di partenza per spiegare il fenomeno che Freud ha classificato come amnesia infantile.

Memoria esplicita contro memoria implicita

RirocrdiD’altra parte, il fatto che non ricordiamo nulla dei primi anni di vita non significa che tutte le esperienze vissute in quel periodo siano nulle, richiamano l’attenzione degli psicologi. Anzi, oltre all’ippocampo, anche l’amigdala si trova all’interno del sistema limbico del cervello. E se l’ippocampo elabora la memoria narrativa, l’amigdala è responsabile dell’elaborazione di forti ricordi emotivi. E ancora, se l’ippocampo è sopraffatto dal ritmo accelerato della neurogenesi nei primi anni di vita, l’amigdala è già un organo maturo dalla nascita. Ecco perché i bambini possono provare una vasta gamma di emozioni, anche se non ne comprendono bene il contenuto e non riescono a gestirle.

Il che significa che, grazie all’amigdala, tutti i sentimenti forti dell’infanzia e le associazioni fatte sono ben immagazzinati, ma non come un chiaro ricordo, ma come una sensazione, un modo di reagire o di relazionarsi, come quel nodo allo stomaco che sentiamo in determinate situazioni senza avere una spiegazione. In altre parole, l’amigdala ha un ruolo nell’immagazzinare il contenuto emotivo della memoria, essendo responsabile della “memoria implicita”.

Le esperienze dell’infanzia sono importanti anche se non le ricordiamo

Per i ricercatori di psicologia, l’amnesia infantile è una parte importante e normale dello sviluppo cerebrale. Difatti gli specialisti sostengono che questa “dimenticanza” non dovrebbe essere un motivo per cui i genitori non creano ricordi per i loro figli. Secondo gli esperti, anche se in seguito i bambini non se lo ricorderanno, le esperienze li aiuteranno a conoscere il mondo.

Ad esempio, anche se un bambino da grande non ricorderà una visita allo zoo, andare in un posto del genere può aiutare il piccolo a ricordare i nomi degli animali o sapere cos’è uno zoo. Inoltre sempre durante questo periodo di vita, le esperienze fatte dai bambini portano al loro sviluppo emotivo. Senza dubbio quel periodo, fra i due e i quattro anni, rimane cruciale per lo sviluppo delle capacità cognitive. Non ricevere gli stimoli adeguati in quella fase può impedire la crescita dei centri della memoria e dell’apprendimento in modi difficili da compensare crescendo. bimbo

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